sabato 24 dicembre 2016

Parvenze

"La coscienza della parvenza.

In che modo meraviglioso, nuovo e insieme tremendo e ironico mi sento posto con la mia conoscenza dinanzi all'esistenza tutta!

Ho scoperto per me che l'antica umanità e animalità, perfino tutto il tempo dei primordi e l'intero passato di ogni essere sensibile, continua dentro di me a meditare, a poetare, ad amare, a odiare, a trarre le sue conclusioni - mi sono destato di colpo in mezzo a questo sogno, ma solo per essere cosciente che appunto sto sognando e che devo continuare a sognare se non voglio perire: allo stesso modo in cui il sonnambulo deve continuare a sognare per non piombare a terra.

Che cos'è ora, per me, "parvenza"! In verità non l'opposto di una sostanza - che cos'altro posso asserire di una sostanza qualsiasi se non appunto i soli predicati della sua parvenza? In verità, non una maschera inanimata che si potrebbe applicare ad una x sconosciuta e pur anche togliere!

Parvenza è per me proprio ciò che opera e vive, che si spinge tanto lontano nella sua autoderisione da farmi sentire che qui tutto è parvenza e fuoco fatuo e danza di spiriti e niente di più - che tra tutti questi sognatori anch'io, l'"uomo della conoscenza", danzo la mia danza, che l'uomo della conoscenza è un mezzo per prolungare la danza terrena e con ciò appartiene ai sovrintendenti alle feste dell'esistenza; e che la sublime consequenzialità e concomitanza di tutte le conoscenze è, forse, e sarà il mezzo più alto per mantenere l'universalità delle loro chimere di sogno e la generale comprensione reciproca di questi sognatori e con ciò appunto la durata del sogno"

Friedrich Nietzsche, La Gaia Scienza, Libro I.

domenica 17 luglio 2016

Banalità di Base

È incredibile la protervia con cui chi si definisce rivoluzionario o comunista (e in questo caso devo dire anche molti anarchici) sia totalmente disinteressato a rendere quella che lui chiama "politica" qualcosa di seducente, invece che una serie di stanche, scialbe tiritere che suonano come cadaveri in bocca. E non è una cosa che penso solo da adesso, ma è una cosa che non faccio che notare ogni anno che passa, specie in questi anni di nevrosi sociale.

Il logocentrismo di certi compagni ormai lo trovo francamente oppressivo.

Ma non ha a che vedere con il fatto di adottare una teoria al posto di un'altra: ha a che vedere con un modo di vedere la vita che sostituisce all'eudaimonia conviviale, al piacere e all'intensità corporale delle relazioni, mancanti dei limiti netti delle ideologie, la pesantezza delle paranoie gruppettare e l'assoluta necessità di continuare a produrre scartoffie apparentemente onnicomprensive, quando si potrebbe benissimo fare qualcos'altro di più carino, o semplicemente usare la produzione e la discussione teorica come uno strumento di accrescimento del desiderio, sia individuale che collettivo, invece che di un suo attivistico contenimento.

Ha a che vedere con l'atomizzazione e non con il progetto del suo superamento.

Nota: per chi si sentisse tirato in causa, sappia che questa critica non lo riguarda nè riguarda nessuno nello specifico. Nè è una critica degli sforzi organizzativi di certi compagni, che anzi riconosco e di cui sono grato. Semmai potrebbe essere un invito a uscire dalla palude della "politica seria" con un po' di bonaria allegrezza.

lunedì 27 giugno 2016

La luna dimezzata

Un volto cianotico
Dai capelli scarmigliati
E occhi derelitti
Illuminati dalla barcollante
Luce dei notturni
Accompagnano
Il biancore sconsolato
Della luna dimezzata.
Davanti alla stazione
Di notte
Passano i bei ragazzi
Del color dell'ebano
E dell'ossidiana
Col loro sguardo beffardo
E donne intente a
Intessere trecce
Davanti alle luci
Dei bar dove transita
La città non vista.
Qualcuno piange
In mezzo ai negozi
Di cibo indo-arabo;
Il cigolìo del tram
Si sovrappone alle lacrime
E al soffritto
Sotto sbiadite
Luci al neon.
Una città intera
Intrappolata tra i portici
Della stazione
Mucchi di disperati
Stesi su coperte di fortuna
Davanti ai tassì nevrotici
E ragazzi sfuggenti
Squadrati da passanti
Pieni di angoscia
E sospetto.
La luna dimezzata
Mostra il suo chiarore
Alle fronde dei pini
Mentre un altro bus
Parte dalla stazione.


sabato 25 giugno 2016

L'Anima dell'Uomo sotto il Socialismo

"La comprensione del dolore, naturalmente, è sempre esistita. È uno dei primi istinti dell'uomo. Gli animali che possiedono un'individualità, cioè gli animali superiori, l'hanno in comune con noi.

Ma bisogna ricordarsi che mentre la partecipazione alla gioia intensifica la somma della gioia nel mondo, la partecipazione al dolore non diminuisce affatto l'ammontare del dolore. Potrà rendere l'uomo più adatto a sopportare il male ma il male rimane.

Compatire chi è malato di tisi non guarisce la tisi; a questo pensa la scienza. E quando il socialismo avrà risolto il problema della povertà e la scienza quello della malattia, il campo d'azione dei sentimentalisti si ridurrà e la compartecipazione umana diverrà grande, sana e spontanea.
L'uomo gioirà nel contemplare la vita gioiosa dei suoi simili.

Perché sarà per mezzo della gioia che l'individualismo dell'avvenire si svilupperà.

[...]

Il dolore non è il mezzo definitivo per raggiungere la perfezione; è semplicemente provvisorio e di protesta. Esso rimanda ad ambienti sbagliati, malsani, ingiusti. Quando l'errore, la malattia, l'ingiustizia saranno rimossi, non avrà più ragione di essere. (...) Né l'uomo ne sentirà la mancanza, perché ciò che l'uomo ha cercato non è, in verità, né il dolore né il piacere bensì, semplicemente, la vita.

L'uomo ha cercato di vivere intensamente, pienamente, perfettamente. Quando potrà farlo senza esercitare limitazioni sugli altri o senza soffrirne, e tutte le sue attività gli saranno piacevoli, egli sarà più sano nella mente e nel corpo, più civile, più se stesso.

Il piacere è il criterio di valutazione della natura, il suo segno di approvazione.

Quando l'uomo è felice, egli è in armonia con se stesso e con ciò che lo circonda. Il nuovo individualismo, al cui servizio, volente o nolente, il socialismo lavora, sarà armonia perfetta.

Sarà quel che cercarono i greci ma che non riuscirono a realizzare completamente salvo che nel pensiero, perché avevano gli schiavi e li nutrivano.

Sarà quel che cercò il Rinascimento ma che non riuscì a realizzare completamente salvo che nell'arte, perché aveva gli schiavi e li lasciava morire d'inedia.

Sarà completo e per suo mezzo ogni uomo giungerà alla sua perfezione. Il nuovo Individualismo è il nuovo Ellenismo."

Oscar Wilde, "L'Anima dell'Uomo sotto il Socialismo".

giovedì 23 giugno 2016

Sorrida a noi il Ricciolo attorto dei Belli

"Scapigliato ridente affannato discinto in ebbrezza,
Cantando una dolce canzone reggendo una coppa di vino,
nello sguardo il furore, beffarde le labbra dolenti,
mi colse iernotte assopito al mio fianco sedette.
Al mio orecchio si fece, e la voce amarezza gravava:
"O tu amico di tempi trascorsi, sei forse ora preda del sonno?
Il vino che danno al fedele d'amore dissolve le notti,
e lui, sacrilegio d'amore, a quel vino, ecco, non si prosterna?"
Asceta, vattene, e non disprezzare chi il nero dell'orcio sorseggia:
accettammo di viver nel mondo, e a noi questo solo fu dato.
Quello ch'Egli versò nella coppa, non altro, bevemmo,
volessero a noi dare ambrosia celeste o liquore da renderci ebbri.
A noi rida dunque rida la coppa, sorrida a noi il ricciolo attorto dei belli;
non la piange il poeta, la tetra rinuncia, e non è chi la pianga."


Khāje Shams o-Dīn Moḥammad Ḥāfeẓ-e Shīrāzī, da "Ottanta Canzoni".


martedì 7 giugno 2016

Considerazioni #5


A volte trovo sconcertante di come la "coscienza" degli individui, eterna ultima ruota del carro del determinismo economico, rimanga del tutto estranea al mutare delle condizioni sociali, o che le segua così lentamente.

E non è solo il fatto banale che ci sia più tecnologia, che il mondo sia più interconnesso o che ci ritroviamo tutti con un carico enorme di informazione in più, ma proprio il fatto che ci troviamo ad un punto di svolta fondamentale, e purtroppo tragico, della storia della specie e le persone sanno solo parlare di cultura/culture, di "natura umana" e di altro pattume reazionario.

E questo ovviamente se hai il minimo di infarinatura "culturale" per poter intavolare discussioni infinite sulla cultura, sennò saprai solo discutere di natura umana e di banalità piccolo-borghesi davanti ad uno schermo televisivo.

Persino nelle varie forme in cui si sta cristallizzando la critica al presente capitalista raramente il punto viene messo sull'economia, o su una critica all'economia - e le sue derivazioni particolari - ma nella maggior parte delle volte la critica è puramente culturale e morale, dai sinistri più sciacquati a quelli più radicaleggianti (mi viene in mente il comitato invisibile su tutti), il tutto motivato dal presunto fallimento di Marx e del suo cosiddetto "economicismo".

Non c'è cosa più facile che partire dalla sovrastruttura per spiegare la struttura sociale. In fondo basta pontificare un po', fingersi particolarmente radicali quando si parla di "antropocene" o sciorinare edizioni in sedicesimo di utopismi morti politicamente dalla metà dell''800.

"Demolish serious culture!" Era il sottotitolo di Smile, la rivista dei neoisti inglesi degli anni '80. Il suo scopo era mettere in discussione l'idea stessa di "cultura" per come si era venuta a costituire nell'occidente capitalistico, nonchè una critica al "nome" e all'identità, e infatti alle persone che compravano la rivista veniva richiesto di cambiare la propria firma in "Monty Cantsin" e "Karen Eliot".

Al mondo "politico" odierno, così saturo di persone in preda alla sindrome da ristorante cinese per indigestione di troppo glutammato concettuale e culturale, di troppe pose seriose da salvatori e troppi profeti dell'apocalisse, preferisco una "politica" (le virgolette sono d'obbligo) ludica, giocosa, divertente e soprattutto appassionante, che sappia cogliere le questioni di classe ma anche riproporre il progetto situazionista e post-situazionista di trasformazione radicale dell'"economia della vita quotidiana", insieme all'economia "macro" che determina il flusso di merci e di plusvalore su scala mondiale.
 

domenica 15 maggio 2016

Wittgenstein

"La meccanica newtoniana, ad esempio, riduce la descrizione del mondo in forma unitaria.

Pensiamo una superficie bianca, con sopra macchie nere irregolari. Noi diciamo ora: qualunque immagine ne nasca, sempre posso avvicinarmi quanto io vogila alla descrizione dell'immagine, coprendo la superficie con un reticolato di quadrati rispondentemente fine e dicendo d'ogni quadrato che è bianco, o nero.

A questo modo avrò ridotto la descrizione della superficie in forma unitaria.

Questa forma è arbitraria, poichè avrei potuto impiegare con eguale successo una rete di maglie triangolari o esagonali.

Può essere che l'uso d'una rete di triangoli rendesse la descrizione più semplice, cioè che noi potessimo descrivere la superficie più esattamente con una rete di triangoli più grossa che con una più fine di quadrati (e viceversa), e così via.

Alle diverse reti corrispondono diversi sistemi di descrizione del mondo.

La meccanica determina una forma di descrizione del mondo dicendo: tutte le proposizioni della descrizione del mondo devono ottenersi da un certo numero di proposizioni date - gli assiomi della meccanica - in un modo dato. Così essa fornisce pietre per la costruzione dell'edificio della scienza e dice: qualunque edificio voglia tu innalzare, lo devi comunque costruire con queste pietre e con queste soltanto.

[...]

E ora vediamo la posizione reciproca di logica e meccanica. (Si potrebbe far consistere la rete anche di figure eterogenee, per esempio di triangoli ed esagoni.)

Che un'immagine, come quella menzionata or ora, possa descriversi mediante una rete di forma data, non enuncia nulla intorno all'immagine. [...] Come pure nulla enuncia intorno al mondo la possibilità di descriverlo mediante la meccanica newtoniana; ma enuncia invece qualcosa la possibilità di descriverlo mediante essa proprio così come appunto lo si può descrivere.

E dice qualcosa intorno al mondo anche la possibilità di descriverlo più semplicemente mediante l'una meccanica che mediante l'altra."

L. Wittgenstein, "Tractatus Logico-Philosophicus", 6.341-6.342

domenica 8 maggio 2016

Fuoco sui Ragazzi del Coro

"Nessuna paura di morire. Nessuna paura di restare soli. Siamo uomini. Siamo come fili d’erba nel deserto. Siamo vette. Procediamo spalla a spalla. Copriamo ogni spiraglio. Non abbiamo parte e non faremo storie. Potete anche bruciare tutta la prateria o radere al suolo per intero la foresta delle pretese, non avrete mai certezza d’aver distrutto ogni nostra semenza. Siamo nella radice dell’olivo, nel canto della spremitura; siamo nella vicenda senza fine della libertà. Siamo nel vento, nell’alba, siamo nel rumore di fondo dell’umanità. Non potete occultare nelle vostre biblioteche polverose il nostro volto sempre diverso, sempre nervoso e bello. Siamo la padronanza del disastro, i puntini sospensivi del destino. Siamo il muschio nero che avvolge la corteccia ingenua, il rapido infiammarsi dell’incanto fra le strade che invocano l’uomo. – Perché non deponete le armi e vi accontentate di sopravvivere ai vostri limiti? – Perché noi non abbiamo paura e perché sappiamo, anzi siamo sicuri che in qualche luogo, anche se del tutto in disparte (ascoltate, prestate orecchio), alcune presenze, alcuni corpi intelligenti ed essenziali hanno cominciato a ridere di voi e dei nostri limiti coltivando il sogno sovrumano di abbattere ogni limite."

Carmine Mangone, "Fuoco sui ragazzi del coro".

lunedì 2 maggio 2016

Civiltà

"Verso Sud-Est, a tremila leghe di qui,
Il Yuang e il Siang formano un vasto lago.
Sopra quel lago son valli alpestri profonde,
Là vivono uomini dal cuore senza malizia.
Allegri come bambini sciamano sugli alberi
O corrono all'acqua per prendere trote e reine.
Le loro gioie sono gioie di bestie e d'uccelli,
Non mettono freno nè al corpo nè al pensiero.
Ho girovagato assai per le Nove Contrade:
Ovunque simili usanze sono sparite.
Mi trovo ridotto a chiedermi perplesso
Se Santi e Saggi ci han fatto davvero un gran bene."


Yuan Jie, IX sec. (?) d.C.


mercoledì 20 aprile 2016

Vuoi giocare con me?

Ti guardo passare
Col tuo sguardo spavaldo
E gli occhi lucenti
Inebriati di vita
Appoggiato al muro
Muovi sciolto
I tuoi muscoli
fendendo l'aria
Se ti prendessi
E ti togliessi i vestiti
Rubino del mio sguardo
Mi faresti fare un pompino?
Se il tuo seme colasse
Nella mia gola
prenderesti le mie mani
e correresti a perdifiato
Ridendo insieme a me?
Giocheresti con me
Come fanno i maschi
Quando si sfidano?
Vuoi giocare con me?


lunedì 4 aprile 2016

Questo non è un Movimento


Nella parte su Bateson ho delle perplessità, ma l'articolo è complessivamente condivisibile, oltre che urgente nella necessità di mettere in evidenza quello che impropriamente è stato chiamato il "movimento francese" di questi ultimi giorni.



QUESTO NON È UN MOVIMENTO



La nuova struttura statale è caratterizzata dal fatto che l’unità politica della popolazione, e con ciò il sistema generale della sua vita pubblica, si riflette in tre categorie con un ordine distinto: le tre categorie non si situano di fronte, sul medesimo piano, ma una di esse, cioè il Movimento che comanda sullo Stato e il Popolo, penetra e conduce gli altri due.” Carl Schmitt, “Stato, Movimento, Popolo”, 1933.


Come ogni fine settimana, da quasi un mese, si specula sulla situazione del “Movimento contro la Legge El Khomri” – i media, i sindacalisti, i militanti e i “fiduciosi” di ogni sorta vorrebbero credere che questa volta ci siamo: dopo le “storiche manifestazioni” del 31 Marzo, che avrebbero visto un raddoppiamento delle presenze dei cortei del 9 Marzo e ora le assemblee di “Nuit Debout”, il movimento che veniva chiamato dalle sue aspirazioni, ma che non finiva più di cominciare, è finalmente nato. Potrebbe essere che se ci si sforza così tanto ad accostare il nome di “movimento” a ciò che accade in Francia in questo periodo, è perché si tratta in realtà di una cosa completamente altra, di un qualcosa d’inedito. Perché un “movimento”, per l’esattezza, in Francia, è un qualcosa che sappia gestire, vale a dire dominare. Le organizzazioni, i governi, i media, dopo lustri in cui i movimenti non hanno portato ad alcuna sollevazione degna di nota, sono passati immediatamente ad evocare la minaccia che ogni evento di piazza reca con sé: che la situazione diventi ingovernabile. Non bisogna mai dimenticare che l’attuale Primo Ministro non è tale in virtù della laurea in storia che ha ottenuto a Tolbiac, ma perché si è fatto le ossa come sindacalista dell’UNEF (Union Nationale des Etudiants de France, il sindacato nazionale degli studenti francesi, NdR). All’epoca, era con Alain Bauer e Stéphane Fouks, le bestie nere del Collettivo Autonomo di Tolbiac, e viceversa.

Un “movimento”, per tutto il personale inquadrato cui si riduce questa società, è un qualcosa di rassicurante. Ha un oggetto, delle rivendicazioni, dei quadri, e dunque dei portavoce qualificati e delle possibilità di negoziazione. In questo modo non è mai difficile, su tale terreno, operare una distinzione tra “il movimento” e chi ne deborda il quadro, di richiamare all’ordine i suoi elementi più determinati, la sua frazione più conseguente. Li si taccerà all’occasione di essere teppisti, autonomi, nichilisti, quando è palese che coloro che sono lì per romperne le dinamiche, sono appunto i nichilisti che non vedono altro che un trampolino per i loro futuri posti ministeriali – tutti i Valls, i Dray e gli Julliard. Privare un movimento della sua frangia più “violenta” ha sempre avuto l’effetto di svirilizzarlo, di renderlo inoffensivo e infine di tenerlo sotto controllo. Infatti, i movimenti sono fatti per morire, anche se vittoriosi. La lotta contro il CPE (Contrat Première Embauche, la legge sul Contratto di Primo Impiego varata nel 2006 dal governo Chirac, NdR) ha fatto scuola. Basta un ritiro tattico al governo, e il terreno comincia a franare sotto i piedi di chi si è messo in marcia. Qualche articolo sui giornali e qualche servizio televisivo contro gli “irriducibili” sono del tutto sufficienti a far ritirare ciò che, ancora ieri, poteva qualsiasi legittimazione sociale sulla quale si erano appoggiate le mosse più audaci. Una volta isolati, i procedimenti polizieschi e poi quelli giudiziari più o meno immediati arrivano al momento opportuno a prosciugare il mare del “movimento”.  

La forma-movimento è uno strumento nelle mani di chi intende governare il sociale, e nient’altro. L’estremo nervosismo dei servizi d’ordine, in particolare quello della CGT, della BAC (Brigade Anti-Criminalité, i poliziotti in borghese francesi, NdR) e degli sbirri nelle manifestazioni delle scorse settimane è il segno che tradisce la loro disperata volontà di far rientrare nella forma-movimento ciò che si è messo in marcia, e che gli scappa via da tutte le parti.

Tutti ormai sono d’accordo nel dire: la “Loi de Travail” non è stata altro che “la goccia che ha fatto traboccare il vaso”, ciò che si esprime in strada, negli slogan o negli scontri, è “una rabbia generale”, etc. Quel che succede è che non sopportiamo più di essere governati da questi signori in alcuna maniera; può anche essere, visto l’evidente fallimento di questa società in ogni campo, che non sopportiamo di essere governati del tutto. È divenuto epidermico ed epidemico, perché è sempre di più una questione di vita o di morte. Non ne possiamo più della politica; ogni sua manifestazione è diventata del tutto oscena per noi, perché è osceno questo modo di agitarsi in maniera così impotente in mezzo ad una situazione a tutti i livelli così estrema.

Detto ciò, ci mancano le parole per descrivere ciò che si è risvegliato in Francia in questo momento. Se non è un “movimento”, allora cos’è? Noi diremmo che si tratta di un “Piano”. Prima che Gilles Deleuze e Felix Guattari lo riprendessero per farne il titolo del loro libro migliore, “Mille Piani”, questo concetto era stato elaborato dall’antropologo e teorico della cibernetica Gregory Bateson. Nello studiare negli anni ’30 l’ethos balinese, rimase colpito da questo particolare: mentre gli occidentali, sia in guerra che in amore, preferiscono le intensità esponenziali, le interazioni cumulative, le eccitazioni crescenti che portano ad un punto culminante – orgasmo o guerra totale – seguite da una scarica di tensione, sociale o affettiva, i balinesi, sia che si tratti della musica, del teatro, delle discussioni, dell’amore o del conflitto, rifuggono da questa corsa al parossismo; privilegiano i regimi di intensità continue, variabili, che durano, si trasformano, evolvono, in breve: divengono. Bateson si rifà ad una pratica singolare che hanno le madri balinesi: “Spesso la madre inizia col bambino un’interazione scherzosa titillandogli il pene o stimolandolo altrimenti ad un’attività interpersonale; questo ecciterà il bambino, e per un breve tempo avrà luogo un’interazione cumulativa. Poi, proprio quando il bambino, avvicinandosi ad una piccola acme, getta le braccia al collo della madre, quest’ultima si distrae; e il bambino a questo punto inizia un’altra interazione cumulativa, cominciando un capriccio. La madre o starà a guardare, divertendosi alle escandescenze del bambino, o, se questi lo aggredisce, respingerà il suo attacco non mostrandosi per niente adirata.” (Verso un’Ecologia della Mente). In questo modo la madre balinese insegna ai figli a fuggire le intensità parossistiche. La fase nella quale stiamo per addentrarci politicamente in Francia in questo momento non è, almeno fino alle ridicole elezioni presidenziali per le quali non è nemmeno sicuro che arrivino, questa volta, ad imporcele, una fase orgasmica di “movimento” che segue ad un necessario riflusso, ma una fase di Piano:

Una regione continua d’intensità, vibrante su se stessa, e che si sviluppa evitando qualunque orientazione su un punto culminante o verso un fine esteriore” (Deleuze & Guattari, Mille Piani)

Il livello di discredito dell’apparato di governo è tale che troverà ormai sul suo cammino, a qualunque di queste manifestazioni, una determinazione costante, proveniente da ogni parte, per abbatterlo.

La questione non è dunque la vecchia solfa trotzkista sulla “convergenza delle lotte” - lotte che sono comunque al presente talmente deboli che anche se le si facesse convergere non si arriverebbe a nulla di serio, se non a perdere, nell’abituale riduzione politica, la ricchezza propria di ciascuna di esse – ma bensì l’attuazione pratica del discredito generale della politica in qualunque occasione, cioè delle libertà sempre più audaci che prenderemo al posto dell’apparato del governo democratico. È questo quello che è in gioco, non è quindi in nessun caso un’unificazione del movimento, sia pure attraverso un’assemblea generale del genere umano, ma il passaggio delle soglie, degli spostamenti, delle disposizioni, della messa in contatto tra punti d’intensità politica distanti. 

È evidente che la vicinanza con la ZAD (Zone à Defendre, uno spazio occupato vicino Nantes in un’area dove sarebbe dovuto sorgere un aeroporto, NdR) produce i suoi effetti sul “movimento” a Nantes. Quando 3000 liceali gridano “Tutti detestano la politica”, fischiando il servizio d’ordine della CGT, cominciano a manifestare incappucciati, non indietreggiano più di fronte alle provocazioni della polizia e si scambiano le soluzioni fisiologiche dopo essere stati colpiti dai gas lacrimogeni, si può dire che in un mese di blocchi un certo numero di soglie sono state superate, un certo numero di libertà sono state prese. Il punto non è di canalizzare l’insieme dei divenire, degli sconvolgimenti esistenziali, degli incontri che formano la trama del “movimento”, in un solo torrente potente e maestoso, ma di lasciar vivere la topologia di questo Piano, e di percorrerlo. La fase del Piano nella quale siamo entrati non cerca nulla di esterno ad essa stessa: “È un tratto disprezzabile dello spirito occidentale, di rapportare le azioni a dei fini esterni o trascendentali, invece di considerarle su un piano d’immanenza a partire dal loro valore in sé” (Deleuze & Guattari, Mille Piani). L’importante è ciò che si è già fatto, e non si smetterà di fare sempre di più: far evitare sempre di più che il governo governi – e per “governo” non bisogna intendere il solo regime politico ma tutto l’apparato tecnocratico pubblico e privato per il quale i governi offrono la loro espressione grand-guignolesca. Non si tratta dunque di sapere se questo “movimento” riuscirà o no a pervenire alla fine della “legge El Khomri”, ma di ciò che è già in corso: la destituzione di ciò che ci governa.


sabato 2 aprile 2016

Roma

Io amo questa città. Amo le notti di Roma, girovagando tra le sue vie umide, a scivolare sotto la luce pallida dei lampioni che si riverbera sulle pareti dei palazzi, tra tendine e persiane e balconi e tubature e piante e antenne e muratura scrostata di colori evanescenti. Amo il senso di trascuratezza e di eleganza di una metropoli che si estende a vista d'occhio, dispersa tra pezzi di parchi, abitati, vie romane, fontanelle e bar e mozziconi di sigaretta e cartacce e graffiti e chiese barocche. Amo la sua gente, la sua fisicità e il suo amore per tutto ciò che è vivo e vitale. Amo perdermi nel ventre di Roma senza più aver nulla da cercare al di fuori della perdita del sé, di ciò che mi separa dall'esistente. Amo il suono delle parole trasportate nell'aria di una giornata autunnale, gli occhi e le luci di tutti coloro che ho incontrato e incontrerò, i lineamenti dei volti dei ragazzi, i loro capelli, le espressioni dei passanti mentre sono seduto su una panchina. Una città non è composta solo dai suoi edifici, dai suoi monumenti o dagli "oggetti" che ha, ma da quel filamento che si dispiega in una sensazione tattile per finire nell'abbraccio di un amico. Nei posti dove non va nessuno sarò lì con un naso enorme, ad aspettare che arrivi l'alba.

giovedì 3 marzo 2016

Kenkō

“Dobbiamo guardare i ciliegi soltanto se sono in fiore, la luna soltanto se è limpida? Aver nostalgia della luna mentre si guarda la pioggia, chiudere le imposte e non vedere il declino della primavera – questo è ancora più struggente. I rami sul punto di fiorire o i giardini cosparsi di fiori appassiti sono ancora più degni di ammirazione. Le poesie su un tema come “Andare per ammirare i fiori di ciliegio e scoprire che si erano dispersi” oppure “Essendomi precluso di contemplare i fiori” sono forse meno valide di quelle che dicono “Vedendo i fiori”? La gente di solito si rammarica che i fiori di ciliegio cadano e che la luna tramonti nel cielo, ed è naturale; ma soltanto una persona del tutto priva di sensibilità direbbe: “Questo ramo e quell’altro ramo hanno perduto i loro fiori. Ormai non c’è più nulla che valga la pena di vedere”.

Di ogni cosa, sono interessanti soltanto il principio e la fine. Nell’amore tra un uomo e una donna contano solo quei momenti in cui stanno abbracciati? L’uomo che si rattrista per una storia d’amore finita prima che fosse giunta a compimento, che piange sulle vuote promesse, che trascorre da solo le lunghe notti d’autunno, che lascia vagare i suoi pensieri in cieli lontani, che si strugge per il passato in una casa in rovina – quest’uomo sa cosa significhi l’amore”.

Yoshida Kenkō, "Momenti d'Ozio"

sabato 27 febbraio 2016

Considerazioni #4

Ci sono volte in cui vorresti stare da solo. Però poi no, non ti rinchiudere in te stesso, c'è tutto un mondo fuori su cui puoi intervenire, e poi la solitudine è uno stigma di una condizione dominata dal Capitale, almeno non amarla visto che in questo fottuto mondo siamo tutti soli - eppure, eppure ci sono momenti in cui la solitudine ti appare sotto una veste decisamente diversa: sono quei momenti in cui leggi "Altri Libertini" di Pier Vittorio Tondelli oppure le poesie di Forough Farrokhzad e ti immedesimi in quelle storie dei bar e delle strade dell'Emilia dei primi anni '80 o nelle espressioni delicate e tristi di una donna di in un paese lontano, e guardi fuori dalla finestra buia scorgendo accanto il ramoscello di fiori di susino rosa che hai colto e messo in un vaso oggi pomeriggio e le pile di libri sbilenche che hai lasciato sugli scaffali della tua camera e vorresti addormentarti, adesso, e sognare di fiori di susino e travestiti nei bar emiliani, e di strade polverose in una città dell'entroterra iraniano o di tutto ciò che possa toglierti di dosso il peso di dover essere qui e ingurgitare tutta l'informazione e i fiumi di parole che comporta l'essere una persona socialmente attiva, riuscire finalmente a nasconderti sulla superficie di un cuscino chiudendo gli occhi davanti agli adesivi degli spazi occupati e i poster dei gruppi panc arcòr attaccati alla porta. È bello guardare la falce della luna nuova illuminare con la sua luce pallida la cima del cipresso, triste e flessuoso nel velo notturno; è bello sapere di poter sfuggire alle definizioni, di potersi nascondere nelle pagine di qualche libro, in alcuni spazi, nelle pieghe di qualche sensazione tattile e visiva e uditiva. Riuscire ad avere ancora vie di fuga.

All of them are missing
As the game comes to a start
No one is there.




giovedì 25 febbraio 2016

Il vento ci porterà via

"Nella mia piccola notte, ahimè
Il vento ha un appuntamento con le foglie
Nella mia piccola notte
C'è l'ansia del declino

Ascolta,
Senti il soffio delle tenebre?
Io, assuefatta alla mia infelicità
Guardo stupita questa intensa felicità
Ascolta,
Senti il soffio delle tenebre?

Ora, qualcosa attraversa la notte
Rossa e inquieta è la luna
Ora su questa vólta,
Dove ogni attimo si teme il crollo,
Le nuvole, questa folla in lutto,
Sembrano attendere l'attimo della pioggia

Un istante
E poi, più nulla
Oltre questa finestra trema la notte
E la terra esita a roteare
Oltre questa finestra, l'ignoto
È in ansia per noi

Oh, fresco cupo del verde
Posa le tue mani, arse come il ricordo
Nelle mie mani innamorate
E abbandona le tue labbra
Di calde sensazioni dell'essere
Alle carezze delle mie labbra innamorate
Il vento ci porterà via con sè,
Il vento ci porterà via."

Forough Farrokhzâd

lunedì 22 febbraio 2016

Considerazioni #3

Sono dell'idea che non si dovrebbe mai cominciare una conversazione sulle società e gli individui partendo dalla "cultura". O meglio, bisognerebbe prima capire cos'è la "cultura" e in che cosa diverge dalla raffigurazione che viene data di solito a questo termine, e poi decidere se usare o no questo concetto. Per esempio: esiste o no la "cultura occidentale" e la "cultura orientale"?

Cos'è la "cultura occidentale"? Basterebbe porre la domanda a qualunque persona mediamente colta - non solo all'uomo della strada - per vedere il vuoto di idee profilarsi sul volto dell'interrogato. Di volta in volta viene data una definizione vaga delle varie "culture" prevalentemente centrata sulle rappresentazioni sovrastrutturali, ad esempio si è soliti parlare della scienza meccanica "occidentale" o della medicina "occidentale" come se tale scienza e tale medicina non funzionassero allo stesso modo a Mumbai come a Philadelphia e Shiraz. Oppure vengono continuamente coniate delle "qualità morali" (anche solo usare il termine mi fa venire il voltastomaco) che contraddistinguerebbero le varie "culture", con intenti più o meno apologetici nei confronti di questa o quell'altra "cultura" e del tutto incuranti degli individui particolari che "abitano" le culture in questione - ed è un'operazione concettuale che sfortunatamente non viene fatta solo dai razzisti beceri e dagli emuli della Fallaci, ma anche da insospettabili persone di sinistra che continuano a parlare di "culture" per evitare una critica "strutturale" al capitalismo.

Prendiamo la "cultura mediorientale", nella fattispecie arabo-persiana. Tutti sono concordi a farla rientrare nel calderone della "cultura orientale", se non altro da un punto di vista geografico. Ma è un'operazione sbagliata, se non altro da un punto di vista filosofico: gran parte di quella che noi chiamiamo "cultura" e scienza "occidentale" sarebbe stata impossibile senza la mediazione culturale arabo-persiana, dalla scuola di Baghdad fino agli ultimi regni prima dell'invasione dei Mongoli in Persia e in Iraq. I dotti di Tabriz nel XIII secolo conoscevano Aristotele, Platone, Plotino, Apollonio e Euclide molto meglio di quanto non facessero i loro omologhi occidentali. Quindi se ragionassimo da un punto di vista culturale diremmo che la "cultura mediorientale" è parte di quella occidentale.

E allora cos'è una cultura? Si può fare come Johan Huizinga che affermava che la cultura fosse un'estensione delle attività ludiche? La cultura rientra o no nella "struttura" economica? Ha senso porsi queste domande?

venerdì 5 febbraio 2016

Foival Orsis

Io
Orsis di cognome
Foival di nome
Nulla chiesi
Dal mondo
Che d'essere accettato
E colori che potessero
Modellare i miei sensi
Ma io sprofondo
Nella solitudine
E i colori
Erano pennellate
Di acquerelli,
E il volto dell'Idolo
È profumo di muschio
Che si affievolisce
Ai bordi della mia finestra.
Tutto chiesi
Dal mondo
Eppure di quello che ho
Restano le lacrime
E l'incomunicabilità
E le parole vomitate
Dal profondo dei miei
Occhi.
Foival,
Tu piangi
Senza una spalla
Che sussurri parole
Dolci di nettare,
E le tue lacrime
Scorrono
Nei rivoli dell'indifferenza.
Piangi! Forse
Qualcuno riuscirà
A raccogliere il segreto
Nascosto nelle lacrime;
Chicchi di melograno
sgorgano dalle tue guance. 



Del-e-Majnun

Ascolta, ascolta il ney
Ascolta come piange la separazione
Come piange la separazione dall'Amato
Da quando mi hanno 
strappato dal Canneto
Vago ebbro di tristezza
Ai bordi delle strade
Alla ricerca di un volto di luna
Che illumini il mio sguardo
Che plachi il mio desiderio:
Un mihrab di rubini
Splendenti ai raggi 
Del sole mattutino.
n cuore voglio, un cuore dilaniato dal distacco dall'Amico,
che possa spiegargli la passione del desiderio d'Amore;
Perché chiunque rimanga lungi dall'Origine sua,
sempre ricerca il tempo in cui vi era unito. - See more at: http://www.sufi.it/sufismo/Ney1.htm#sthash.yDfdivY1.dpuf
n cuore voglio, un cuore dilaniato dal distacco dall'Amico,
che possa spiegargli la passione del desiderio d'Amore;
Perché chiunque rimanga lungi dall'Origine sua,
sempre ricerca il tempo in cui vi era unito. - See more at: http://www.sufi.it/sufismo/Ney1.htm#sthash.yDfdivY1.dpuf
n cuore voglio, un cuore dilaniato dal distacco dall'Amico,
che possa spiegargli la passione del desiderio d'Amore;
Perché chiunque rimanga lungi dall'Origine sua,
sempre ricerca il tempo in cui vi era unito. - See more at: http://www.sufi.it/sufismo/Ney1.htm#sthash.yDfdivY1.dpuf
Deserte sono le vie del cuore:
Punti fissi questa vita non ha.
Ey pesar,
Perchè dovresti cercarne?





lunedì 1 febbraio 2016

Distici di Abdul-Qādir Bēdil

"Agitata è dalle mie ceneri la coppa del mondo
Quale occhio ardente con tale impeto mi ha dato fuoco?"

"Chi supplicherà queste delicate e bellissime mani di spargere il mio sangue?
Ho bussato alla porta della pazienza, fino a che incontrai una primavera dal colore della henna."

"Molte case della bellezza ho traversato nel mio oblio
Anche un passo falso nel tuo desiderio è diventato il colpo del pennello di Behzad (Kamāl ud-Dīn, NdR)"

"Delicata arte è imparare i segreti dell'amore;
La penna scivola nel tratteggiare la parola dell'errore"

"Nel deserto del desiderio non vi sono punti fissi
Non sono necessari per trovare i nostri luoghi"

"Dalla felice designazione la sollecitudine ancora disegnò
Non ogni specchio sorretto meritò la visione."

"Solo attraverso il velo udii la parola, con il cuore udienza non ebbi alcuna
Come manifestare ciò che non vidi, dovresti chiederlo al fabbricante di specchi."


lunedì 25 gennaio 2016

Atlante

"Quando arriverà la rivoluzione in Italia?"

Mi chiese Andrea, seduto sui divani polverosi della sede.

"Tutto il mondo si sta muovendo. Dopo il 15 Ottobre (2011, NdR) non è successo più nulla qua."

 Finirà mai? Finirà mai la morte che viviamo ogni giorno? Per quanto ancora?

"Presto. La rivolta è un germe che fiorisce dovunque la vita ricresce."

Io mi sdraiai sulla sedia. La biblioteca traboccava di saggi politici e di romanzi di fantascienza.

"Sono stufo di speranza! Sono stufo dei "presto"! Com'è che nessuno agisce? Perchè nessuno fa nulla? Noi alle manifestazioni ci andiamo per i tirare i sanpietrini, non per aspettare!"

"Non so che dire."

"Noi ci organizzeremo! Sei un militante o no?"

"Si."

"E allora togliti queste paure!"

Sugli sguardi dei compagni notavo la tensione. Un misto di paura, angoscia e eccitazione emergeva dai loro muscoli facciali. Come ci si sente quando metti in gioco tutta la tua vita di fronte al cambiamento dell'esistente?

"Ho lasciato tutto quello che ero. I miei genitori mi odiano. Non posso più entrare in casa, e vago come un vagabondo nelle case dei miei amici. Non ho prospettive in questa società al di fuori dell'abbandono. Nulla è più terribile di un mondo morente che sopravvive da carogna, e schiaccia tutti i viventi. Cosa dovremmo fare? L'orrore di vivere come prima mi ha spinto a lottare. Ma ora è tutto fermo. Cosa dovremmo fare? Io non lo so."

Disse Gabriel, erompendo in un pianto disperato e uscendo dalla sede.

"Ti prego Gabriel..."

Io lo raggiunsi fuori. Si era accasciato di fronte alla porta e continuava nel pianto.

"Sai che ti capisco. Apparte te, i miei pochi amici e i compagni non ho nessuno che possa sapere il dolore che provo. Devo ancora dare l'impressione di essere un bravo ragazzo coi miei perchè altrimenti non potrei frequentare l'università. Ma vivo questa camicia di forza come una tomba quotidiana. Il mondo dove viviamo è un limbo dove tutto è possibile e nulla è ancora accaduto. Non sappiamo nemmeno come verremo sballottati."

"Ti voglio bene. In questo vuoto tu mi apri il cuore, che pompa sangue e disperazione. Dove fuggiremo? Dove andremo? Vaghiamo senza una meta aspettando di poter prendere parte ad un movimento di distruzione della società esistente. Ma dobbiamo sopravvivere. E io non so più come fare."

"Nemmeno io. Ma tengo strette queste frazioni di secondo come quanto di più tragico mi sia potuto capitare."

Il sole si offuscò nel cielo sporco di una giornata d'inverno. Da lontano si intravedevano i riflessi del crepuscolo sulle palazzine di questo pezzo di Roma. I marciapiedi erano spogli di passanti e regnava una calma irreale, mitigata dallo spirare della brezza e della musica dei negozi di kebab. Io rimasi seduto nelle panchine di un parco adiacente.

"Il cielo mi cade addosso. Il mondo mi cade addosso. Siamo tutti Atlante. La nostra ribellione è per vedere la nostra disperazione tramutarsi in entusiasmo. Eppure fuggo, eppure le mie scarpe scivolano sull'asfalto bagnato, mi rendo invisibile e sdraiato su una panchina di un parco osservo il cielo sbiadire sul mio volto, accarezzandomi gli occhi."

Avevo spento il cellulare. Mia madre starà su tutte le furie. Scesi dalla panchina e presi un autobus verso il nulla. Il Tragico è il pianto del ribelle.


venerdì 22 gennaio 2016

È qui la paura, è qui che bisogna saltare


Era maggio, e l’aria era tersa. Eravamo seduti sotto i fiori di magnolia. I cirri correvano sospinti dalla brezza. Qualcosa ci aveva portato qui, forse il desiderio di uscire dalla città, forse il desiderio di parlare in un ambiente diverso. È stornante vedere il mondo da qui. Eppure è familiare: una ricognizione da lontano.

“Tu continui a considerare il mondo sotto la prospettiva dell’illusione.”

“Che vorresti dire?”

“Voglio dire che ciò che dice il nostro linguaggio non esiste veramente. Eppure questi colori brillano in tutta la loro lucentezza, e la luce fende le pieghe del tuo viso evidenziandone le superfici tra i chiaroscuri. I tuoi capelli scarmigliati sono sparpagliati dal vento. Questi fiori sono bianchi, e il loro profumo dolcissimo…ma com’è riduttivo quello che esprimiamo!”

“Non pensi che i concetti che abbiamo siano l’unica interfaccia che abbiamo col mondo?”

“Dipende. In un certo senso sì, ma tu continui a non vedere il vuoto che li origina. Ed è questo vuoto ciò che persiste. Tutta la nostra vita è pervasa da concetti inadeguati rispetto a quello che noi sentiamo. Un giudizio di valore è molto complesso nelle sue determinazioni: esso è l’esempio migliore di cosa significa un’astrazione. Umile, Superbo, Bello, Corretto, Buono, Vile, Giusto, Sbagliato…quante possibili definizioni pensi che abbiano questi concetti? Più una parola esprime un concetto generale, più il suo significato è determinato dalla società in cui è usato.”

“In fondo è bello ricamare concetti. Costruire metafore, dare vita a nuove figure…”

“Sei sicuro che dalle parole si possano creare figure?”

“Sì. Perché?”

“Guarda questo filo d’erba. Se lo scomponi all’infinito, troverai le strutture atomiche, e risalendo all’indietro i composti chimici, le cellule e le proprietà biologiche delle piante. Ma noi cosa possiamo dire sulla sua forma? Se tu dovessi disegnare un filo d’erba non tenteresti di approssimare una forma che non riesci a cogliere per intero?”

“Sì, perché? Che c’entra tutto ciò con le parole?”

“Le parole sono segni. Allo stesso modo con cui lo sono le figure che elabori nella tua testa. Un segno organizza le sensazioni in certi modi. Questi modi sono un prodotto sociale. Noi potremmo descrivere il mondo costruendo una geometria di triangoli invece che di figure quadratiche, ma la griglia che noi usiamo non corrisponderebbe a ciò che descrive.”

Nel frattempo lui si accese una sigaretta. Esitavo un po’ a parlare ancora e preferivo leggermi un libro che mi ero portato.

“Ma allora che senso ha provare a dire qualcosa? Non sarebbe allora meglio l’afasia?”

“No. Le parole che dici, i concetti che esprimi, sono un modo di essere delle cose. Il pensiero è una proprietà emergente dei sistemi complessi. Eppure non capirai mai concetti e simboli se ti poni all’interno di essi, né riuscirai a generare nuovi alfabeti. Esiste un mondo che il linguaggio che usiamo non esprime. Questo mondo è il mondo dell’indefinito. Tu sei Flavio Rossi?

“Penso di esserlo.”

“Come pensi di definirti? O perlomeno, come ti definisce chi ti conosce?”

“Una persona un po’ fuori dalla norma, un tipo a volte interessante…”

“Che significano tutti questi termini? A cosa sono riferiti?”

“Non lo so.”

“La nostra identità è una maschera. Non serve che ti citi Pirandello per fartelo capire. Ma se tutto ciò scomparisse? Se rimanesse solo il sostrato di ogni espressione e i concetti che usiamo rimanessero come gusci vuoti? Te cosa saresti? La fine non è la fine. E non è la fine di ogni concetto. Tu ed io forse vagheremmo negli spazi di nuovi linguaggi che meglio esprimano ciò che emerge. Dimenticheremmo le nostre identità, sarebbe l’inizio di altri concetti.”

“Io vorrei solo non perdermi.”

“La conoscenza nasce dal perdersi. È qui la paura, è qui che bisogna saltare.”

Il sole scomparve tra le colline, e noi ci sdraiammo sull’erba. 



mercoledì 20 gennaio 2016

De/limitazioni

"Nel Tao non vi sono barriere, nella parola non v'è certezza. Per questo esistono le delimitazioni. Chiedo licenza di parlare delle delimitazioni.
C'è lo stare a destra e lo stare a sinistra, il ragionare e l'interpretare, il distinguere e il classificare, il competere e il disputare. Queste son dette "le otto facoltà". Su ciò che è fuori del mondo materiale il santo indaga ma non ne ragiona, di ciò che è entro il mondo materiale il santo ragiona ma non lo critica. Tramandando le storie degli antichi re nel libro canonico Ch'un Chiu, il santo critica ma non classifica. Nel distinguere qualcosa resta indistinto, nel classificare qualcosa resta non classificato.
Perché? Il santo tiene per sé, mentre la folla degli uomini classifica
per far conoscere agli altri. Perciò si dice : "Nel classificare
qualcosa resta non visto."
"

Chuang-Tzu

sabato 16 gennaio 2016

Il presente è una nicchia intarsiata

Sono restato a guardare
il cipresso
ondeggiare alla brezza invernale;
stagliava la sua ombra
nel cielo opaco
come un derviscio
che raggiunge il fana'
come vino
nella coppa dello spazio-tempo.
Il presente è una nicchia
intarsiata negli infiniti piani della notte
rampicanti come edere
di luci arancia
sulle facciate dei palazzi.
Se ne cogli l'essenza
ti riporta al tempo in cui
l'iride dei tuoi occhi era ambra
e il cielo un mihrab di smeraldi
e ossidiana.







venerdì 15 gennaio 2016

L'amore è un duello contro la morte quotidiana

 "La personalità depressiva, [...], è depressa soprattutto dal suo sapersi frammentata [...]. Condizionata al contesto da un rigore carcerario. Incollata alla ripetizione e all'obbedienza. Ritagliata a millimetrica misura dai vari ruoli, definita senza resti dalla scenografia della presenza connotata. Nel sogno, e quando una residua scintilla di rivolta consenta di non cancellarlo, la somma catastrofica della frammentazione di sé torna, con il grido senza voce, a ri-piangere la tortura infantile. Al contrario la
corporeità è unitaria e continua, presente a se stessa, essenzialmente inequivoca. 

[...]

 Non si tratta di liberare l'Io, si tratta di liberarsi dall'Io, liberando così la storia dal principio. E questo, fin da ora. Il tempo è questo tempo, il tempo della fine del dolore è il tempo in cui il dolore si fa intollerabile. Per tutti, mentre sembra, a ciascuno, per nessuno tranne che per lui. Ma è vero che per distruggere l'Io efficacemente, occorre superarlo trapassandone l'imene [...]. La fine dell'Io segnerà il principio della presenza.

 L'“insurrezione erotica” è un prendere le armi. L'amore è un duello contro la morte quotidiana, contro il sacrificio perpetuo all'alterità-Io. L'estasi, l'uscita da sé, è la conquista momentanea dello spazio-tempo al di là dell'Io. [...] l'inizio della nascita. [...] Proprio perché è domestico, prossimo, socialmente squalificato, denigrato, devalorizzato, l'amore è il cavallo di Troia con cui l'eversione [...] si introduce nel necrotico continuum della sopravvivenza."


Giorgio Cesarano, "Manuale di Sopravvivenza".


giovedì 14 gennaio 2016

La Scienza Malata


Il sistema ha trasformato i ricercatori in cavalli da corsa. Bisogna correre, correre, correre sempre, e più veloce degli altri. La vita del ricercatore è una vita di competizione permanente, in cui le pubblicazioni sono i riconoscimenti. La vita del ricercatore è diventata una corsa alla pubblicazione. […] in questa deriva la riflessione scientifica ha sempre meno importanza, e lascia il posto alla gestione. Come ha descritto Bruno Latour, il ricercatore moderno può essere visto come il gestore di un capitale che viene fatto fruttare trasformando regolarmente degli articoli in sovvenzioni, e delle sovvenzioni in articoli."

Laurènt Segalat, "La Scienza Malata? Come la burocrazia sta uccidendo la ricerca"

martedì 12 gennaio 2016

Superamenti

Devo ammettere che sono un realista. Sto dalla parte di Einstein e degli altri che credono che la meccanica quantistica sia una descrizione incompleta della realtà. Dove, allora, dovremmo andare a cercare quel che manca alla meccanica quantistica? Mi è sempre sembrato che la soluzione non richiederà soltanto una più profonda comprensione della fisica quantistica stessa; sono convinto che, se non l’abbiamo ottenuta dopo tanto tempo, è perché manca qualcosa, qualche collegamento ad altri problemi della fisica. Non è verosimile che si arrivi a risolvere il problema della meccanica quantistica rimanendo confinati in quell’ambito; probabilmente, invece, la soluzione emergerà via via che faremo progressi nel tentativo più generale di unificare la fisica.

Ma se questo è vero, funziona anche nella direzione opposta: non riusciremo a risolvere gli altri grandi problemi se non troveremo anche un ragionevole sostituto della meccanica quantistica.” 

Lee Smolin, "L'universo senza Stringhe - fortuna di una teoria e turbamenti della scienza".


lunedì 11 gennaio 2016

Considerazioni #2

  Pomeriggio d'inverno. Sono sdraiato sul mio letto a riflettere. È dolce il veleno dei ricordi, che scorre come vapore colorato sul mio viso. Fuori il sole è già svanito, e rilucono solo le luci del parco. Ieri è stata la prima volta che mi è capitato di andare all'opera: suonavano "Metastaseis" di Iannis Xenakis. Riuscire a rendere fedelmente l'intento "geometrico" dei pezzi di Xenakis è cosa ardua: l'orchestra ha suonato stringhe di suoni affastellati tra di loro, strutture che andavano dall'ordine al caos alla complessità, ed è riuscita a rendere perfettamente la "freddezza" della composizione del matematico/architetto/filosofo greco naturalizzato francese. Tra il pubblico impellicciato dell'opera queste cose riescono ancora a suscitare quel disappunto latente che se sessant'anni fa si tramutava in pomodori e uova marce, adesso si traduce in qualche sbuffo contrariato, in un'espressione annoiata e impaziente.  

  Ci sono molte cose che dovrei cominciare a fare. E fino a che ho tempo e possibilità dovrei farle: ricominciare a studiare il pianoforte, leggermi tutto Wilhelm Reich, dipingere, ritagliarmi del tempo per proseguire gli studi interrotti di fisica, fare pugilato con qualcuno, cominciare a comporre i pezzi di un concept-album che mi frulla per la testa da almeno tre anni. Impiegare il tempo in un modo diverso dal semplice riflettere, e leggere libri. Non ho più tempo per cullarmi nell'illusione che una Metafisica possa salvarmi. Ho bisogno di agire sulla mia vita. Adesso.
  
  È un'illusione penosa pensare che nulla si muova "lì fuori": non c'è un attimo che il mondo non si muova.  Nulla è condannato a restare nella sua stasi momentanea. Pensieri, colori, corpi, voci, note, i rigagnoli d'acqua piovana dopo un temporale, tutto interseca se stesso in un gioco continuamente ripetentesi. L'unico ostacolo: la paura.