mercoledì 20 aprile 2016

Vuoi giocare con me?

Ti guardo passare
Col tuo sguardo spavaldo
E gli occhi lucenti
Inebriati di vita
Appoggiato al muro
Muovi sciolto
I tuoi muscoli
fendendo l'aria
Se ti prendessi
E ti togliessi i vestiti
Rubino del mio sguardo
Mi faresti fare un pompino?
Se il tuo seme colasse
Nella mia gola
prenderesti le mie mani
e correresti a perdifiato
Ridendo insieme a me?
Giocheresti con me
Come fanno i maschi
Quando si sfidano?
Vuoi giocare con me?


lunedì 4 aprile 2016

Questo non è un Movimento


Nella parte su Bateson ho delle perplessità, ma l'articolo è complessivamente condivisibile, oltre che urgente nella necessità di mettere in evidenza quello che impropriamente è stato chiamato il "movimento francese" di questi ultimi giorni.



QUESTO NON È UN MOVIMENTO



La nuova struttura statale è caratterizzata dal fatto che l’unità politica della popolazione, e con ciò il sistema generale della sua vita pubblica, si riflette in tre categorie con un ordine distinto: le tre categorie non si situano di fronte, sul medesimo piano, ma una di esse, cioè il Movimento che comanda sullo Stato e il Popolo, penetra e conduce gli altri due.” Carl Schmitt, “Stato, Movimento, Popolo”, 1933.


Come ogni fine settimana, da quasi un mese, si specula sulla situazione del “Movimento contro la Legge El Khomri” – i media, i sindacalisti, i militanti e i “fiduciosi” di ogni sorta vorrebbero credere che questa volta ci siamo: dopo le “storiche manifestazioni” del 31 Marzo, che avrebbero visto un raddoppiamento delle presenze dei cortei del 9 Marzo e ora le assemblee di “Nuit Debout”, il movimento che veniva chiamato dalle sue aspirazioni, ma che non finiva più di cominciare, è finalmente nato. Potrebbe essere che se ci si sforza così tanto ad accostare il nome di “movimento” a ciò che accade in Francia in questo periodo, è perché si tratta in realtà di una cosa completamente altra, di un qualcosa d’inedito. Perché un “movimento”, per l’esattezza, in Francia, è un qualcosa che sappia gestire, vale a dire dominare. Le organizzazioni, i governi, i media, dopo lustri in cui i movimenti non hanno portato ad alcuna sollevazione degna di nota, sono passati immediatamente ad evocare la minaccia che ogni evento di piazza reca con sé: che la situazione diventi ingovernabile. Non bisogna mai dimenticare che l’attuale Primo Ministro non è tale in virtù della laurea in storia che ha ottenuto a Tolbiac, ma perché si è fatto le ossa come sindacalista dell’UNEF (Union Nationale des Etudiants de France, il sindacato nazionale degli studenti francesi, NdR). All’epoca, era con Alain Bauer e Stéphane Fouks, le bestie nere del Collettivo Autonomo di Tolbiac, e viceversa.

Un “movimento”, per tutto il personale inquadrato cui si riduce questa società, è un qualcosa di rassicurante. Ha un oggetto, delle rivendicazioni, dei quadri, e dunque dei portavoce qualificati e delle possibilità di negoziazione. In questo modo non è mai difficile, su tale terreno, operare una distinzione tra “il movimento” e chi ne deborda il quadro, di richiamare all’ordine i suoi elementi più determinati, la sua frazione più conseguente. Li si taccerà all’occasione di essere teppisti, autonomi, nichilisti, quando è palese che coloro che sono lì per romperne le dinamiche, sono appunto i nichilisti che non vedono altro che un trampolino per i loro futuri posti ministeriali – tutti i Valls, i Dray e gli Julliard. Privare un movimento della sua frangia più “violenta” ha sempre avuto l’effetto di svirilizzarlo, di renderlo inoffensivo e infine di tenerlo sotto controllo. Infatti, i movimenti sono fatti per morire, anche se vittoriosi. La lotta contro il CPE (Contrat Première Embauche, la legge sul Contratto di Primo Impiego varata nel 2006 dal governo Chirac, NdR) ha fatto scuola. Basta un ritiro tattico al governo, e il terreno comincia a franare sotto i piedi di chi si è messo in marcia. Qualche articolo sui giornali e qualche servizio televisivo contro gli “irriducibili” sono del tutto sufficienti a far ritirare ciò che, ancora ieri, poteva qualsiasi legittimazione sociale sulla quale si erano appoggiate le mosse più audaci. Una volta isolati, i procedimenti polizieschi e poi quelli giudiziari più o meno immediati arrivano al momento opportuno a prosciugare il mare del “movimento”.  

La forma-movimento è uno strumento nelle mani di chi intende governare il sociale, e nient’altro. L’estremo nervosismo dei servizi d’ordine, in particolare quello della CGT, della BAC (Brigade Anti-Criminalité, i poliziotti in borghese francesi, NdR) e degli sbirri nelle manifestazioni delle scorse settimane è il segno che tradisce la loro disperata volontà di far rientrare nella forma-movimento ciò che si è messo in marcia, e che gli scappa via da tutte le parti.

Tutti ormai sono d’accordo nel dire: la “Loi de Travail” non è stata altro che “la goccia che ha fatto traboccare il vaso”, ciò che si esprime in strada, negli slogan o negli scontri, è “una rabbia generale”, etc. Quel che succede è che non sopportiamo più di essere governati da questi signori in alcuna maniera; può anche essere, visto l’evidente fallimento di questa società in ogni campo, che non sopportiamo di essere governati del tutto. È divenuto epidermico ed epidemico, perché è sempre di più una questione di vita o di morte. Non ne possiamo più della politica; ogni sua manifestazione è diventata del tutto oscena per noi, perché è osceno questo modo di agitarsi in maniera così impotente in mezzo ad una situazione a tutti i livelli così estrema.

Detto ciò, ci mancano le parole per descrivere ciò che si è risvegliato in Francia in questo momento. Se non è un “movimento”, allora cos’è? Noi diremmo che si tratta di un “Piano”. Prima che Gilles Deleuze e Felix Guattari lo riprendessero per farne il titolo del loro libro migliore, “Mille Piani”, questo concetto era stato elaborato dall’antropologo e teorico della cibernetica Gregory Bateson. Nello studiare negli anni ’30 l’ethos balinese, rimase colpito da questo particolare: mentre gli occidentali, sia in guerra che in amore, preferiscono le intensità esponenziali, le interazioni cumulative, le eccitazioni crescenti che portano ad un punto culminante – orgasmo o guerra totale – seguite da una scarica di tensione, sociale o affettiva, i balinesi, sia che si tratti della musica, del teatro, delle discussioni, dell’amore o del conflitto, rifuggono da questa corsa al parossismo; privilegiano i regimi di intensità continue, variabili, che durano, si trasformano, evolvono, in breve: divengono. Bateson si rifà ad una pratica singolare che hanno le madri balinesi: “Spesso la madre inizia col bambino un’interazione scherzosa titillandogli il pene o stimolandolo altrimenti ad un’attività interpersonale; questo ecciterà il bambino, e per un breve tempo avrà luogo un’interazione cumulativa. Poi, proprio quando il bambino, avvicinandosi ad una piccola acme, getta le braccia al collo della madre, quest’ultima si distrae; e il bambino a questo punto inizia un’altra interazione cumulativa, cominciando un capriccio. La madre o starà a guardare, divertendosi alle escandescenze del bambino, o, se questi lo aggredisce, respingerà il suo attacco non mostrandosi per niente adirata.” (Verso un’Ecologia della Mente). In questo modo la madre balinese insegna ai figli a fuggire le intensità parossistiche. La fase nella quale stiamo per addentrarci politicamente in Francia in questo momento non è, almeno fino alle ridicole elezioni presidenziali per le quali non è nemmeno sicuro che arrivino, questa volta, ad imporcele, una fase orgasmica di “movimento” che segue ad un necessario riflusso, ma una fase di Piano:

Una regione continua d’intensità, vibrante su se stessa, e che si sviluppa evitando qualunque orientazione su un punto culminante o verso un fine esteriore” (Deleuze & Guattari, Mille Piani)

Il livello di discredito dell’apparato di governo è tale che troverà ormai sul suo cammino, a qualunque di queste manifestazioni, una determinazione costante, proveniente da ogni parte, per abbatterlo.

La questione non è dunque la vecchia solfa trotzkista sulla “convergenza delle lotte” - lotte che sono comunque al presente talmente deboli che anche se le si facesse convergere non si arriverebbe a nulla di serio, se non a perdere, nell’abituale riduzione politica, la ricchezza propria di ciascuna di esse – ma bensì l’attuazione pratica del discredito generale della politica in qualunque occasione, cioè delle libertà sempre più audaci che prenderemo al posto dell’apparato del governo democratico. È questo quello che è in gioco, non è quindi in nessun caso un’unificazione del movimento, sia pure attraverso un’assemblea generale del genere umano, ma il passaggio delle soglie, degli spostamenti, delle disposizioni, della messa in contatto tra punti d’intensità politica distanti. 

È evidente che la vicinanza con la ZAD (Zone à Defendre, uno spazio occupato vicino Nantes in un’area dove sarebbe dovuto sorgere un aeroporto, NdR) produce i suoi effetti sul “movimento” a Nantes. Quando 3000 liceali gridano “Tutti detestano la politica”, fischiando il servizio d’ordine della CGT, cominciano a manifestare incappucciati, non indietreggiano più di fronte alle provocazioni della polizia e si scambiano le soluzioni fisiologiche dopo essere stati colpiti dai gas lacrimogeni, si può dire che in un mese di blocchi un certo numero di soglie sono state superate, un certo numero di libertà sono state prese. Il punto non è di canalizzare l’insieme dei divenire, degli sconvolgimenti esistenziali, degli incontri che formano la trama del “movimento”, in un solo torrente potente e maestoso, ma di lasciar vivere la topologia di questo Piano, e di percorrerlo. La fase del Piano nella quale siamo entrati non cerca nulla di esterno ad essa stessa: “È un tratto disprezzabile dello spirito occidentale, di rapportare le azioni a dei fini esterni o trascendentali, invece di considerarle su un piano d’immanenza a partire dal loro valore in sé” (Deleuze & Guattari, Mille Piani). L’importante è ciò che si è già fatto, e non si smetterà di fare sempre di più: far evitare sempre di più che il governo governi – e per “governo” non bisogna intendere il solo regime politico ma tutto l’apparato tecnocratico pubblico e privato per il quale i governi offrono la loro espressione grand-guignolesca. Non si tratta dunque di sapere se questo “movimento” riuscirà o no a pervenire alla fine della “legge El Khomri”, ma di ciò che è già in corso: la destituzione di ciò che ci governa.


sabato 2 aprile 2016

Roma

Io amo questa città. Amo le notti di Roma, girovagando tra le sue vie umide, a scivolare sotto la luce pallida dei lampioni che si riverbera sulle pareti dei palazzi, tra tendine e persiane e balconi e tubature e piante e antenne e muratura scrostata di colori evanescenti. Amo il senso di trascuratezza e di eleganza di una metropoli che si estende a vista d'occhio, dispersa tra pezzi di parchi, abitati, vie romane, fontanelle e bar e mozziconi di sigaretta e cartacce e graffiti e chiese barocche. Amo la sua gente, la sua fisicità e il suo amore per tutto ciò che è vivo e vitale. Amo perdermi nel ventre di Roma senza più aver nulla da cercare al di fuori della perdita del sé, di ciò che mi separa dall'esistente. Amo il suono delle parole trasportate nell'aria di una giornata autunnale, gli occhi e le luci di tutti coloro che ho incontrato e incontrerò, i lineamenti dei volti dei ragazzi, i loro capelli, le espressioni dei passanti mentre sono seduto su una panchina. Una città non è composta solo dai suoi edifici, dai suoi monumenti o dagli "oggetti" che ha, ma da quel filamento che si dispiega in una sensazione tattile per finire nell'abbraccio di un amico. Nei posti dove non va nessuno sarò lì con un naso enorme, ad aspettare che arrivi l'alba.