martedì 7 giugno 2016

Considerazioni #5


A volte trovo sconcertante di come la "coscienza" degli individui, eterna ultima ruota del carro del determinismo economico, rimanga del tutto estranea al mutare delle condizioni sociali, o che le segua così lentamente.

E non è solo il fatto banale che ci sia più tecnologia, che il mondo sia più interconnesso o che ci ritroviamo tutti con un carico enorme di informazione in più, ma proprio il fatto che ci troviamo ad un punto di svolta fondamentale, e purtroppo tragico, della storia della specie e le persone sanno solo parlare di cultura/culture, di "natura umana" e di altro pattume reazionario.

E questo ovviamente se hai il minimo di infarinatura "culturale" per poter intavolare discussioni infinite sulla cultura, sennò saprai solo discutere di natura umana e di banalità piccolo-borghesi davanti ad uno schermo televisivo.

Persino nelle varie forme in cui si sta cristallizzando la critica al presente capitalista raramente il punto viene messo sull'economia, o su una critica all'economia - e le sue derivazioni particolari - ma nella maggior parte delle volte la critica è puramente culturale e morale, dai sinistri più sciacquati a quelli più radicaleggianti (mi viene in mente il comitato invisibile su tutti), il tutto motivato dal presunto fallimento di Marx e del suo cosiddetto "economicismo".

Non c'è cosa più facile che partire dalla sovrastruttura per spiegare la struttura sociale. In fondo basta pontificare un po', fingersi particolarmente radicali quando si parla di "antropocene" o sciorinare edizioni in sedicesimo di utopismi morti politicamente dalla metà dell''800.

"Demolish serious culture!" Era il sottotitolo di Smile, la rivista dei neoisti inglesi degli anni '80. Il suo scopo era mettere in discussione l'idea stessa di "cultura" per come si era venuta a costituire nell'occidente capitalistico, nonchè una critica al "nome" e all'identità, e infatti alle persone che compravano la rivista veniva richiesto di cambiare la propria firma in "Monty Cantsin" e "Karen Eliot".

Al mondo "politico" odierno, così saturo di persone in preda alla sindrome da ristorante cinese per indigestione di troppo glutammato concettuale e culturale, di troppe pose seriose da salvatori e troppi profeti dell'apocalisse, preferisco una "politica" (le virgolette sono d'obbligo) ludica, giocosa, divertente e soprattutto appassionante, che sappia cogliere le questioni di classe ma anche riproporre il progetto situazionista e post-situazionista di trasformazione radicale dell'"economia della vita quotidiana", insieme all'economia "macro" che determina il flusso di merci e di plusvalore su scala mondiale.
 

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