mercoledì 9 settembre 2015

Never Known Questions

- Sono stato sedotto dal mio dolore. Sono scivolato via come una lacrima che solca il mio viso. Ho girato come un vagabondo, ho ruotato intorno al mio perno come un derviscio, come un fuggiasco ho cercato libertà altrove, perché nei luoghi dove provengo libertà è una parola che si circonda di catene. Ho cantato la potenza dell’urlo primordiale, del dolore tragico delle cicatrici, della liberazione sessuale; ho cantato l’attesa di una redenzione, di una liberazione totale, di un sogno fatto d’immagini che si mescolavano nella furia e nell’eccitazione; ma l’attesa inaridisce i corpi mentre tutto rimane com’è. Mentre le persone intorno a te colano colore sull’asfalto e diventano statue di marmo. L’attesa avvelena i rivoluzionari, li precipita nel senso di impotenza, nei pregiudizi della società, e nell’autoisolamento. La memoria delle rivoluzioni passate è la memoria di come i rivoluzionari siano stati incapaci di vedere che il cambiamento li macinava, e rendeva inutili i loro discorsi. È la memoria di come una teoria sbagliata possa ipotecare simboli, bandiere e parole d’ordine. Ma al di fuori dei discorsi il cambiamento scava, fa muovere persone e affetti, erge poteri e li fa crollare, genera diserzioni e lotte. Non si può tornare indietro. Non ho vagabondato per nulla. Bisogna vivere il tempo dell’attesa senza esserne riassorbiti.

Disse J. in quella notte. La macchina li aveva accompagnati fin dentro la pineta. La luna rifletteva una luce bianchissima. Il sentiero s’interrompeva all’altezza di una roccia illuminata dal bianco lunare.

- So quello che vuoi dire. Ma come facciamo ad attendere senza subire l’attesa? Senza morire di tristezza? Io ogni giorno mi ripeto che sarà l’ultimo. Che domani sarà domani, che non sarà l’ennesimo dei giorni tutti uguali. Ma giriamo per la città e i palazzi prendono polvere e tutti si aggrappano al passato. Siamo sempre gli stessi, e le nostre parole prendono polvere come i palazzi.

- Siamo cresciuti in una razza bastarda.

- "Che si danna l’anima nell’attesa di alba, di un giorno non uguale a mille altri uguali". La nostra vita è dannata ad inseguire qualcosa di cui solo noi siamo certi. Siamo alla perpetua ricerca di esseri affini, che non ci facciano cadere nel vuoto di ciò che abbiamo rigettato.

Sotto le pendici del monte, le luci del paese splendevano. La brezza umida muoveva le fronde dei pini. Era surreale osservare la vallata senza essere visti.
Ad un tratto J. si precipitò dal bordo del sentiero. Il suo corpo rotolò fino ad un fiumiciattolo. Trascinò anche il suo amico con sè. Ancora vivi, il fiume li portava, togliendo loro i vestiti. Gli occhi semichiusi osservavano le stelle, prima di chiudersi definitivamente.

Never Known Questions 

mercoledì 2 settembre 2015

Considerazioni #1

A quante persone è capitato di sentirsi completamente disgustati dal proprio passato? Di volerlo distruggere in una damnatio memoriae personale, o perlomeno di non volerlo più ricordare? Questi pensieri mi affollano la testa in questa sonnolenta giornata di inizio settembre, in una città immobile come Roma. Ho dovuto trasferire tutte le foto dei miei genitori in un archivio su Mega. E ho avuto l'occasione di rivedere i miei peggiori incubi. Io che faccio la comunione. Io sulle montagne con gli occhiali tondi e la faccia da rimbambito. Io che abbraccio ingenuo i miei genitori, del tutto ignaro di quanto dolore potesse darmi rendermi conto della crudeltà affettiva di una famiglia medio borghese. Le foto della montagna, altrettanto ingenue, con la loro atmosfera mielosa, il loro paternalismo patetico. I filmati scattati con vecchie macchine fotografiche, dove canticchio qualcosa su un altalena, improvviso discorsi. Vescovi, preti, zii, prozii, nonni, chiese, ristoranti e sorrisi di convenienza; la vita tranquilla di una famiglia benestante ritratta da centinaia di foto in jpeg. Guardandole ho provato la sensazione di cadere da un precipizio oscuro, socchiudendo gli occhi per non scorgere il cratere in cui sarei caduto. Ogni giorno è così: il conatus del non cadere mi accompagna in ogni gesto. Il disgusto si accompagna al senso di soffocamento. Non voglio tornare ad essere com'ero prima. Non posso accettare il passato. Anche se rimane incancellabile. Ogni giorno desidero cancellare tutto ciò che sono stato. Anche se non potrei farlo, anche se rimarrebbe comunque, se non in un supporto fisico, in una foto o in un file, almeno come spettro che aleggia sul mio viso. L'etica a volte è più forte di ogni considerazione realistica. La disperazione è ciò che mi tiene vivo. Non si torna indietro.


Requiem