martedì 7 aprile 2015

Thalassa, terza edizione: alcuni commenti


“…Ecco allora riemergere prepotentemente l’immaginario dei film di genere all’italiana - cannibal movie, gialli, mondo movie, spaghetti western - e le relative colonne sonore. Quel folklore popolare violento, oscuro, esoterico così ben tratteggiato nei saggi di un Ernesto De Martino e nei documentari di un Luigi Di Gianni, ma anche ansie relative all'età del terrorismo e quel rovescio della medaglia della dolce vita felliniana incarnato dai personaggi di Pasolini. O, ancora, un misto di cattolicesimo e cristianità gnostica fagocitato da ferali istintualità pagane. Questo coacervo di memorie così ponderose continua a infestare il presente, al punto da suggestionare una vasta gamma di artisti, basti vedere le tante operazioni retrologiche in atto nel cinema italiano.” Antonio Ciarletta, “Italian Occult Psychedelia”, in “Blow Up” n° 164, Gennaio 2012



Tre giorni fa si è concluso Thalassa, il festival di “Italian Occult Psychedelia” che va ormai avanti da tre edizioni al Dal Verme di Roma. A distanza di tre giorni sono già state spese parole, considerazioni, live reports, pronostici su un prossimo futuro di questo (micro)movimento, e così via. Ogni considerazione aggiuntiva potrebbe risultare superflua. Eppure a posteriori, dato che alle tre giornate del Thalassa ero presente,sento comunque la necessità di dire quello che è emerso dalla mia prospettiva. Come alcuni già sanno tutto cominciò con un articolo di Antonio Ciarletta su Blow Up, tre anni fa, nel tentativo di mettere in risalto un tratto comune di alcuni gruppi che allora emergevano nella scena musicale italiana. La definizione di “Italian Occult Psychedelia” fu portata alla ribalta anche da Simon Reynolds, che aveva per primo espresso nella critica musicale un concetto ripreso da Derrida che ritorna nell’articolo di Ciarletta, il concetto di ”Hauntology”. Hauntology letteralmente è un gioco di parole tra ontology e haunter, ovvero una sorta di "ontologia dello spettro". L’uso che ne fa Reynolds è quello di indicare un tipo di musica che rievoca degli “spettri” del passato come presenza che infesta il presente, capace attraverso questi “disordini della memoria” di generare immagini di un futuro mai esistito (per esempio, in Inghilterra tale filone ha dato vita alle produzioni della Ghost Box o all’hypnagogic pop). Le colonne sonore di Ennio Morricone e dei Goblin, gli Aktuala, il folklore del sud Italia, i documentari di Ernesto Di Martino sulla Taranta in Salento, i film di Pasolini e di Elio Petri  o i documentari su Lotta Continua e le Brigate Rosse sono un esempio di come questo concetto si è diffuso tra i gruppi italiani. E si può dire tranquillamente che in cinque anni sono riusciti nell'impresa di alzare notevolmente il livello qualitativo della musica in questo paese.

Già un anno fa avevo assistito ad una delle date, ma quest’anno ho voluto attraversare interamente tutte le sensazioni che sarebbero emerse.  Il primo giorno arrivo in tempo per vedere Alos?, progetto solista della cantante degli OvO, che a dire il vero non mi impressiona molto, così come non mi hanno mai detto nulla gli OvO. Il gruppo successivo, i Control Unit, cominciano a dirmi qualcosa di più, ma il climax della serata lo raggiungono gli Hermetic Brotherhood of Lux-Or: 25 minuti di bordoni noise, un rituale dal quale si sprigiona un’energia violentissima e allo stesso tempo arcaica, come la civiltà nuragica alla quale si ricollega l’immaginario del gruppo. Arrivo il secondo giorno mentre cominciano a suonare gli Al Doum & the Faryds.  E questa volta è una sorpresa attesa:  i loro intrecci tra Kraut a la Ash Ra Tempel, psichedelia “etnica” sulla scia degli Aktuala e rievocazioni mediorientali permeano lo scantinato del Dal Verme di un’atmosfera vibrante e dilatata. L’atmosfera del secondo gruppo, i Jooklo Duo, è decisamente più free jazz, mentre l’ultimo set di Virtual Forest, il progetto elettronico di Marco Bernacchia, conclude la serata con le sue atmosfere tra l’onirico, il visionario e l’ipnotico. Ma è il terzo giorno che il festival arriva al culmine: suona Lino “Capra” Vaccina, ex musicista degli Aktuala il cui primo, meraviglioso disco solista, “Antico Adagio”, è stato di recente ristampato dalla Die Schachtel. E trasporta gli spettatori in delle atmosfere soffuse, minimaliste, sospese fuori dal tempo: i loops sonori del vibrafono, accompagnati da un campionatore, un gong e un crash si diffondono delicatamente tra le pareti e tra gli astanti; non ho potuto non restare meravigliato da uno tra i concerti più belli e significativi degli ultimi mesi a Roma. Seguono i Tetuan, che suonano un tipo di psichedelica più “pestata” e energica, al limite dello stoner. E si conclude così la mia esperienza, non avendo il tempo di vedere i The Great Saunites, che seguivano i Tetuan.


Una conclusione provvisoria: c’è qualcosa che ancora si muove, in questo paese, nonostante tutto. C'è qualcosa che da ormai qualche anno ha rotto con la cappa soffocante dell'indie, dell'alternative e dei suoi derivati, che esplora o riscopre orizzonti sonori non scontati. Qualcuno si stringe attorno alle macerie per evocare futuri possibili, meccanismi che facciano saltare in aria la noia, lo squallore e il vuoto della società presente. Forse il festival finirà con quest'ultima edizione, ma n rizomi scaturiranno dalle esperienze attuali. Non disperdiamoci.