lunedì 25 gennaio 2016

Atlante

"Quando arriverà la rivoluzione in Italia?"

Mi chiese Andrea, seduto sui divani polverosi della sede.

"Tutto il mondo si sta muovendo. Dopo il 15 Ottobre (2011, NdR) non è successo più nulla qua."

 Finirà mai? Finirà mai la morte che viviamo ogni giorno? Per quanto ancora?

"Presto. La rivolta è un germe che fiorisce dovunque la vita ricresce."

Io mi sdraiai sulla sedia. La biblioteca traboccava di saggi politici e di romanzi di fantascienza.

"Sono stufo di speranza! Sono stufo dei "presto"! Com'è che nessuno agisce? Perchè nessuno fa nulla? Noi alle manifestazioni ci andiamo per i tirare i sanpietrini, non per aspettare!"

"Non so che dire."

"Noi ci organizzeremo! Sei un militante o no?"

"Si."

"E allora togliti queste paure!"

Sugli sguardi dei compagni notavo la tensione. Un misto di paura, angoscia e eccitazione emergeva dai loro muscoli facciali. Come ci si sente quando metti in gioco tutta la tua vita di fronte al cambiamento dell'esistente?

"Ho lasciato tutto quello che ero. I miei genitori mi odiano. Non posso più entrare in casa, e vago come un vagabondo nelle case dei miei amici. Non ho prospettive in questa società al di fuori dell'abbandono. Nulla è più terribile di un mondo morente che sopravvive da carogna, e schiaccia tutti i viventi. Cosa dovremmo fare? L'orrore di vivere come prima mi ha spinto a lottare. Ma ora è tutto fermo. Cosa dovremmo fare? Io non lo so."

Disse Gabriel, erompendo in un pianto disperato e uscendo dalla sede.

"Ti prego Gabriel..."

Io lo raggiunsi fuori. Si era accasciato di fronte alla porta e continuava nel pianto.

"Sai che ti capisco. Apparte te, i miei pochi amici e i compagni non ho nessuno che possa sapere il dolore che provo. Devo ancora dare l'impressione di essere un bravo ragazzo coi miei perchè altrimenti non potrei frequentare l'università. Ma vivo questa camicia di forza come una tomba quotidiana. Il mondo dove viviamo è un limbo dove tutto è possibile e nulla è ancora accaduto. Non sappiamo nemmeno come verremo sballottati."

"Ti voglio bene. In questo vuoto tu mi apri il cuore, che pompa sangue e disperazione. Dove fuggiremo? Dove andremo? Vaghiamo senza una meta aspettando di poter prendere parte ad un movimento di distruzione della società esistente. Ma dobbiamo sopravvivere. E io non so più come fare."

"Nemmeno io. Ma tengo strette queste frazioni di secondo come quanto di più tragico mi sia potuto capitare."

Il sole si offuscò nel cielo sporco di una giornata d'inverno. Da lontano si intravedevano i riflessi del crepuscolo sulle palazzine di questo pezzo di Roma. I marciapiedi erano spogli di passanti e regnava una calma irreale, mitigata dallo spirare della brezza e della musica dei negozi di kebab. Io rimasi seduto nelle panchine di un parco adiacente.

"Il cielo mi cade addosso. Il mondo mi cade addosso. Siamo tutti Atlante. La nostra ribellione è per vedere la nostra disperazione tramutarsi in entusiasmo. Eppure fuggo, eppure le mie scarpe scivolano sull'asfalto bagnato, mi rendo invisibile e sdraiato su una panchina di un parco osservo il cielo sbiadire sul mio volto, accarezzandomi gli occhi."

Avevo spento il cellulare. Mia madre starà su tutte le furie. Scesi dalla panchina e presi un autobus verso il nulla. Il Tragico è il pianto del ribelle.


venerdì 22 gennaio 2016

È qui la paura, è qui che bisogna saltare


Era maggio, e l’aria era tersa. Eravamo seduti sotto i fiori di magnolia. I cirri correvano sospinti dalla brezza. Qualcosa ci aveva portato qui, forse il desiderio di uscire dalla città, forse il desiderio di parlare in un ambiente diverso. È stornante vedere il mondo da qui. Eppure è familiare: una ricognizione da lontano.

“Tu continui a considerare il mondo sotto la prospettiva dell’illusione.”

“Che vorresti dire?”

“Voglio dire che ciò che dice il nostro linguaggio non esiste veramente. Eppure questi colori brillano in tutta la loro lucentezza, e la luce fende le pieghe del tuo viso evidenziandone le superfici tra i chiaroscuri. I tuoi capelli scarmigliati sono sparpagliati dal vento. Questi fiori sono bianchi, e il loro profumo dolcissimo…ma com’è riduttivo quello che esprimiamo!”

“Non pensi che i concetti che abbiamo siano l’unica interfaccia che abbiamo col mondo?”

“Dipende. In un certo senso sì, ma tu continui a non vedere il vuoto che li origina. Ed è questo vuoto ciò che persiste. Tutta la nostra vita è pervasa da concetti inadeguati rispetto a quello che noi sentiamo. Un giudizio di valore è molto complesso nelle sue determinazioni: esso è l’esempio migliore di cosa significa un’astrazione. Umile, Superbo, Bello, Corretto, Buono, Vile, Giusto, Sbagliato…quante possibili definizioni pensi che abbiano questi concetti? Più una parola esprime un concetto generale, più il suo significato è determinato dalla società in cui è usato.”

“In fondo è bello ricamare concetti. Costruire metafore, dare vita a nuove figure…”

“Sei sicuro che dalle parole si possano creare figure?”

“Sì. Perché?”

“Guarda questo filo d’erba. Se lo scomponi all’infinito, troverai le strutture atomiche, e risalendo all’indietro i composti chimici, le cellule e le proprietà biologiche delle piante. Ma noi cosa possiamo dire sulla sua forma? Se tu dovessi disegnare un filo d’erba non tenteresti di approssimare una forma che non riesci a cogliere per intero?”

“Sì, perché? Che c’entra tutto ciò con le parole?”

“Le parole sono segni. Allo stesso modo con cui lo sono le figure che elabori nella tua testa. Un segno organizza le sensazioni in certi modi. Questi modi sono un prodotto sociale. Noi potremmo descrivere il mondo costruendo una geometria di triangoli invece che di figure quadratiche, ma la griglia che noi usiamo non corrisponderebbe a ciò che descrive.”

Nel frattempo lui si accese una sigaretta. Esitavo un po’ a parlare ancora e preferivo leggermi un libro che mi ero portato.

“Ma allora che senso ha provare a dire qualcosa? Non sarebbe allora meglio l’afasia?”

“No. Le parole che dici, i concetti che esprimi, sono un modo di essere delle cose. Il pensiero è una proprietà emergente dei sistemi complessi. Eppure non capirai mai concetti e simboli se ti poni all’interno di essi, né riuscirai a generare nuovi alfabeti. Esiste un mondo che il linguaggio che usiamo non esprime. Questo mondo è il mondo dell’indefinito. Tu sei Flavio Rossi?

“Penso di esserlo.”

“Come pensi di definirti? O perlomeno, come ti definisce chi ti conosce?”

“Una persona un po’ fuori dalla norma, un tipo a volte interessante…”

“Che significano tutti questi termini? A cosa sono riferiti?”

“Non lo so.”

“La nostra identità è una maschera. Non serve che ti citi Pirandello per fartelo capire. Ma se tutto ciò scomparisse? Se rimanesse solo il sostrato di ogni espressione e i concetti che usiamo rimanessero come gusci vuoti? Te cosa saresti? La fine non è la fine. E non è la fine di ogni concetto. Tu ed io forse vagheremmo negli spazi di nuovi linguaggi che meglio esprimano ciò che emerge. Dimenticheremmo le nostre identità, sarebbe l’inizio di altri concetti.”

“Io vorrei solo non perdermi.”

“La conoscenza nasce dal perdersi. È qui la paura, è qui che bisogna saltare.”

Il sole scomparve tra le colline, e noi ci sdraiammo sull’erba. 



mercoledì 20 gennaio 2016

De/limitazioni

"Nel Tao non vi sono barriere, nella parola non v'è certezza. Per questo esistono le delimitazioni. Chiedo licenza di parlare delle delimitazioni.
C'è lo stare a destra e lo stare a sinistra, il ragionare e l'interpretare, il distinguere e il classificare, il competere e il disputare. Queste son dette "le otto facoltà". Su ciò che è fuori del mondo materiale il santo indaga ma non ne ragiona, di ciò che è entro il mondo materiale il santo ragiona ma non lo critica. Tramandando le storie degli antichi re nel libro canonico Ch'un Chiu, il santo critica ma non classifica. Nel distinguere qualcosa resta indistinto, nel classificare qualcosa resta non classificato.
Perché? Il santo tiene per sé, mentre la folla degli uomini classifica
per far conoscere agli altri. Perciò si dice : "Nel classificare
qualcosa resta non visto."
"

Chuang-Tzu

sabato 16 gennaio 2016

Il presente è una nicchia intarsiata

Sono restato a guardare
il cipresso
ondeggiare alla brezza invernale;
stagliava la sua ombra
nel cielo opaco
come un derviscio
che raggiunge il fana'
come vino
nella coppa dello spazio-tempo.
Il presente è una nicchia
intarsiata negli infiniti piani della notte
rampicanti come edere
di luci arancia
sulle facciate dei palazzi.
Se ne cogli l'essenza
ti riporta al tempo in cui
l'iride dei tuoi occhi era ambra
e il cielo un mihrab di smeraldi
e ossidiana.







venerdì 15 gennaio 2016

L'amore è un duello contro la morte quotidiana

 "La personalità depressiva, [...], è depressa soprattutto dal suo sapersi frammentata [...]. Condizionata al contesto da un rigore carcerario. Incollata alla ripetizione e all'obbedienza. Ritagliata a millimetrica misura dai vari ruoli, definita senza resti dalla scenografia della presenza connotata. Nel sogno, e quando una residua scintilla di rivolta consenta di non cancellarlo, la somma catastrofica della frammentazione di sé torna, con il grido senza voce, a ri-piangere la tortura infantile. Al contrario la
corporeità è unitaria e continua, presente a se stessa, essenzialmente inequivoca. 

[...]

 Non si tratta di liberare l'Io, si tratta di liberarsi dall'Io, liberando così la storia dal principio. E questo, fin da ora. Il tempo è questo tempo, il tempo della fine del dolore è il tempo in cui il dolore si fa intollerabile. Per tutti, mentre sembra, a ciascuno, per nessuno tranne che per lui. Ma è vero che per distruggere l'Io efficacemente, occorre superarlo trapassandone l'imene [...]. La fine dell'Io segnerà il principio della presenza.

 L'“insurrezione erotica” è un prendere le armi. L'amore è un duello contro la morte quotidiana, contro il sacrificio perpetuo all'alterità-Io. L'estasi, l'uscita da sé, è la conquista momentanea dello spazio-tempo al di là dell'Io. [...] l'inizio della nascita. [...] Proprio perché è domestico, prossimo, socialmente squalificato, denigrato, devalorizzato, l'amore è il cavallo di Troia con cui l'eversione [...] si introduce nel necrotico continuum della sopravvivenza."


Giorgio Cesarano, "Manuale di Sopravvivenza".


giovedì 14 gennaio 2016

La Scienza Malata


Il sistema ha trasformato i ricercatori in cavalli da corsa. Bisogna correre, correre, correre sempre, e più veloce degli altri. La vita del ricercatore è una vita di competizione permanente, in cui le pubblicazioni sono i riconoscimenti. La vita del ricercatore è diventata una corsa alla pubblicazione. […] in questa deriva la riflessione scientifica ha sempre meno importanza, e lascia il posto alla gestione. Come ha descritto Bruno Latour, il ricercatore moderno può essere visto come il gestore di un capitale che viene fatto fruttare trasformando regolarmente degli articoli in sovvenzioni, e delle sovvenzioni in articoli."

Laurènt Segalat, "La Scienza Malata? Come la burocrazia sta uccidendo la ricerca"

martedì 12 gennaio 2016

Superamenti

Devo ammettere che sono un realista. Sto dalla parte di Einstein e degli altri che credono che la meccanica quantistica sia una descrizione incompleta della realtà. Dove, allora, dovremmo andare a cercare quel che manca alla meccanica quantistica? Mi è sempre sembrato che la soluzione non richiederà soltanto una più profonda comprensione della fisica quantistica stessa; sono convinto che, se non l’abbiamo ottenuta dopo tanto tempo, è perché manca qualcosa, qualche collegamento ad altri problemi della fisica. Non è verosimile che si arrivi a risolvere il problema della meccanica quantistica rimanendo confinati in quell’ambito; probabilmente, invece, la soluzione emergerà via via che faremo progressi nel tentativo più generale di unificare la fisica.

Ma se questo è vero, funziona anche nella direzione opposta: non riusciremo a risolvere gli altri grandi problemi se non troveremo anche un ragionevole sostituto della meccanica quantistica.” 

Lee Smolin, "L'universo senza Stringhe - fortuna di una teoria e turbamenti della scienza".


lunedì 11 gennaio 2016

Considerazioni #2

  Pomeriggio d'inverno. Sono sdraiato sul mio letto a riflettere. È dolce il veleno dei ricordi, che scorre come vapore colorato sul mio viso. Fuori il sole è già svanito, e rilucono solo le luci del parco. Ieri è stata la prima volta che mi è capitato di andare all'opera: suonavano "Metastaseis" di Iannis Xenakis. Riuscire a rendere fedelmente l'intento "geometrico" dei pezzi di Xenakis è cosa ardua: l'orchestra ha suonato stringhe di suoni affastellati tra di loro, strutture che andavano dall'ordine al caos alla complessità, ed è riuscita a rendere perfettamente la "freddezza" della composizione del matematico/architetto/filosofo greco naturalizzato francese. Tra il pubblico impellicciato dell'opera queste cose riescono ancora a suscitare quel disappunto latente che se sessant'anni fa si tramutava in pomodori e uova marce, adesso si traduce in qualche sbuffo contrariato, in un'espressione annoiata e impaziente.  

  Ci sono molte cose che dovrei cominciare a fare. E fino a che ho tempo e possibilità dovrei farle: ricominciare a studiare il pianoforte, leggermi tutto Wilhelm Reich, dipingere, ritagliarmi del tempo per proseguire gli studi interrotti di fisica, fare pugilato con qualcuno, cominciare a comporre i pezzi di un concept-album che mi frulla per la testa da almeno tre anni. Impiegare il tempo in un modo diverso dal semplice riflettere, e leggere libri. Non ho più tempo per cullarmi nell'illusione che una Metafisica possa salvarmi. Ho bisogno di agire sulla mia vita. Adesso.
  
  È un'illusione penosa pensare che nulla si muova "lì fuori": non c'è un attimo che il mondo non si muova.  Nulla è condannato a restare nella sua stasi momentanea. Pensieri, colori, corpi, voci, note, i rigagnoli d'acqua piovana dopo un temporale, tutto interseca se stesso in un gioco continuamente ripetentesi. L'unico ostacolo: la paura.